Milano, 15 novembre 2007 – accusato di aver scaricato da internet immagini a carattere pedopornografico, questa mattina è stato condannato un sacerdote della chiesa cattolica. Era nodo di una fitta rete internazionale dedita alla condivisione di materiale pedopornografico: sacerdote, teologo, docente universitario, R.H., è stato condannato ad un anno e mezzo di reclusione e al risarcimento di 2000 euro.

A dare notizia della sentenza del giudice della sezione penale di Siracusa è Telefono Arcobaleno, l’associazione che si è costituita parte civile nel processo.

Come al solito l’informazione, prona al vaticano, tace.

Mi sconforta pensare che siano proprio persone come questo teologo, a salire in cattedra per dire quello che è giusto e quello che non lo è, millantando l’infallibilità del papa e della chiesa!

Condotto da Onofrio Pagone de “La gazzetta del Mezzogiorno”. Parteciperà Nicola Laforgia, assessore alle Culture del Comune di Bari con Marco Politi, autore del libro “Io, prete gay”, Enrico Fusco, presidente di Arcigay Bari e la psicologa Dott.ssa Elena Patarnello. Letture di passi dal libro di Politi a cura dell’attore Andrea Cramarossa.
Appuntamento per sabato, 10 novembre 2007 alle ore 18.00 a Bari, Fortino S. Antonio Lungomare Augusto.

Per informazioni:

Talk show - Io, prete gay - 10 Novembre 2007, ore 18.00 - Bari, Fortino S. Antonio

Pubblicato da: Rocco | 3 novembre 2007

Io, prete gay: di Marco Politi

io prete gay - il libro“Mia madre per una settimana diceva: mio Dio, la gente, cosa dirà la gente…, poi se n’è fatta una ragione”. La madre di don Andrea ha capito, anzi sa. Sa che suo figlio, sacerdote quarantenne, laureato in teologia, un’intensa attività pastorale ma senza parrocchia, è un omosessuale “praticante”. Sa e accetta con serenità, visto che conosce bene Giorgio, il compagno di Andrea, studente di 26 anni. Piuttosto, è l’Istituzione che assolutamente non deve sapere. E anche se don Andrea fosse rigorosamente casto, l’Istituzione ecclesiastica non dovrebbe sapere, tanto più ora che il Vaticano sta preparando un’Istruzione per bloccare l’accesso al sacerdozio ai seminaristi gay.
Figurarsi per un sacerdote che “eserciti” attivamente la propria omosessualità. “Mio padre – dice don Andrea – è comunista da sempre, tesserato, eppure quando presi gli ordini sacerdotali era fiero di me, ora però mi dice: ma lascia perdere, esci…”. Uscire significa lasciare la Chiesa, dopo anni di studio, di fatica e di sofferenze. “La prima volta che mi sono innamorato di un ragazzo avevo 14 anni, andavo in discoteca, frequentavo i coetanei e le donne, ma poi appena entrato in seminario, ventunenne, l’omosessualità divenne un tabù, non osavo pensarci. Se avevo brutti pensieri andavo subito a confessarmi”. Dopo qualche anno, un incontro, all’interno del seminario, fa scoppiare tutto ciò che era stato rimosso: “Conobbi un ragazzo più giovane di me, uscivamo, parlavamo, un giorno di dicembre gli dissi: a Natale ti farò un regalo… Lui insistette: lo voglio subito… Mi avvicinai e lo baciai sulla bocca. Dovetti correre alla finestra per riprendere fiato, mi tremavano le gambe”. La storia dura tre anni, “un vero e proprio fidanzamento: lui andò dallo psicanalista, che gli disse: questo è amore e basta, facevamo mille peripezie per dormire insieme e a casa la domenica non facevo altro che parlare di lui”.
Don Andrea ha una barba ben rasata e i capelli neri, ci ride su. Ma quando ricorda la fine del primo amore il sorriso si spegne: “Appena fui ordinato prete, cominciarono a venirmi i sensi di colpa e decisi di farla finita, fu una sofferenza terribile, studio e castità, studio, preghiera e nient’altro. Stavo a Roma, a studiare teologia, cominciai a confessare la domenica in una chiesa del centro. Confessavo anche gli omosessuali, cercavo di spiegare la dottrina ma ogni volta mi dicevo che non la condividevo”. Ed ecco una nuova svolta, il rifiuto definitivo: “Più studiavo i Testi Sacri, più pensavo: ma non c’è niente di male, nell’amare un’altra persona. A un certo punto mi sono detto non posso rinunciare a me stesso, non devo…”. Don Andrea racconta le serate con i confratelli nei locali gay della capitale, in semiclandestinità: “Una sera scoprimmo che negli altri tavoli c’erano molti preti. Uno di noi disse: la prossima volta prendiamo il breviario e recitiamo compieta. Ricordo che uno, vedendoci, scappò via di corsa, ora insegna diritto canonico”.
Nel caffè al centro di Milano, dove il sacerdote racconta senza troppi pudori la propria vita sentimentale, arriva il suo giovane compagno, che arrossisce quando don Andrea gli dice: “Ma come, non mi dai neanche un bacino?”. Il progetto è di lasciare la Chiesa appena Giorgio ha terminato gli studi: “Non ce la faccio più, ringrazio Dio di avermi fatto vivere le esperienze che ho vissuto e di avermi fatto incontrare le persone che ho incontrato. Ma oggi, un po’ di imbarazzo lo sento, quando confesso i peccati del sesso: quelle persone cercano qualcuno che li richiami alla dottrina, e parlando con loro io provo un sentimento non dico di compassione ma di tristezza nel vedere quanto soffrono senza un reale motivo. E allora cerco di far capire…”. Con quali parole? “Cerco di far capire che la dottrina non è tutto, segnalo dei siti internet su cui informarsi, consiglio di parlarne con gli altri e il più delle volte vanno via contenti con qualche idea in più su cui riflettere. Distinguo sempre tra dottrina ufficiale e questioni bibliche, dico che è in gioco la loro vita”.
Dunque, viste le contraddizioni e i rovelli, perché non abbandonare subito la Chiesa? “Devo maturare l’uscita, per il momento poi non potrei rinunciare a quel milione e mezzo circa che guadagno con l’insegnamento e le funzioni, ma appena Giorgio avrà un lavoro… Non posso rinunciare a me stesso, non posso rinunciare a dar seguito a questo amore”. Ora don Andrea vive in un appartamentino modesto, dice messa quasi tutti i giorni, svolge attività pastorali con gruppi di giovani, insegna teologia ed è molto apprezzato dai superiori (“se sapessero, cadrebbero dalle nuvole…”). Il fatto è che mentre ai superiori è costretto a nascondere il suo “orientamento sessuale” e la sua vita intima, agli amici del gruppo Arcigay, che frequenta ogni settimana, è costretto a nascondere il fatto di essere sacerdote: “Altrimenti mi riempiono di insulti…”. Due identità separate che non possono continuare a coesistere: “Io mi sento vivo, certe volte mi pare di avere 23-24 anni, mi volano i giorni e sono felice. Però mi rendo conto che la vita del prete oggi purtroppo è inconciliabile con la vita di coppia, dunque si pone una scelta. Fra qualche anno farò la valigia me ne andrò”. Basta fare una valigia? “Le procedure per lasciare l’abito talare non sono di mia competenza, verranno fatte delle indagini dalle gerarchie, ma non me ne importa niente, loro hanno creato tutta ‘sta baracca giuridico-teologica e loro se la sbrigano”.
A giudicare dallo sguardo e dal sorriso, don Andrea sembra davvero felice, parla, si agita, mostra fotocopie di articoli sulla castità e l’omosessualità, cerca di confutare le tesi ufficiali: “L’omosessualità non è una malattia, anche se fa comodo alla Chiesa pensare che lo sia, è rassicurante. Certo, è vero che molti sacerdoti passano da una depressione all’altra, anche quando sono iperattivi spesso ricadono nell’angoscia perché non riescono ad accettarsi per quello che sono, c’è gente che va nelle saune a fare sesso o semplicemente guarda un film con un bell’attore e che il giorno dopo è distrutta dal senso di colpa. Quella sì che è una malattia”. Il fatto è che per lo più l’omosessualità viene giudicata, a differenza dell’eterosessualità, come “un orientamento che ti porta a peccare”: “Il problema dovrebbe essere non l’omosessualità ma la castità. Dal ’68 la Chiesa si è messa nel sacco dal punto di vista della ricerca teologica, mettendo insieme il significato unitivo e quello procreativo e non ne uscirà più finché non negherà tutto”. E come fa a negare tutto, così, dall’oggi al domani? “Riconoscendo finalmente che la sessualità in generale è qualcosa di bello e di buono: bonum diffusivum sui, il bene diffonde se stesso, è invadente… E poi non si capisce perché l’omosessuale dovrebbe essere “intrinsecamente disordinato”, come dicono: queste parole pesano come macigni. In fondo anche una piccola bugia è intrinsecamente disordinata… Ora, dopo aver tanto studiato, ho la consapevolezza che non c’è peccato nell’amore. E se la Chiesa non vuol prenderne atto, pazienza: io ho deciso di vivere pienamente quello che sono perché non voglio rifiutare la benedizione del Signore”. 

Talk show – Io, prete gay – 10 Novembre 2007, ore 18.00 – Bari, Fortino S. Antonio

Pubblicato da: Rocco | 27 luglio 2007

Arrestami padre, perchè ho baciato

Carabinieri arrestano a Roma due giovani gay perchè si baciano. Questa è la situazione a cui si è giunti.

La foga moralizzatrice di questa chiesa bigotta e omofoba (e in gran parte omosessuale), indottrina e diffonde valori antieuropei.

Il rispetto e la dignità della persona: valori che devono essere difesi con i denti, per gli omosessuali sono un privilegio non dovuto. Un bacio. Anche se focoso, resta un bacio, una manifestazione dell’amore, e non può essere osceno. Dopo questo fattaccio, le battaglie degli omosessuali per ottenere pari dignità dallo Stato italiano diventano sempre più utopiche. E la causa di questo processo di regressione, portato avanti da falsi moralizzatori il cui motto è sempre “fate cio che dico io e non ciò che faccio io”, è ancora della istituzione “chiesa”. 

Non voglio assolutamente generalizzare. Non mi piace. La stupidità e un male trasversale. Che non può appartenere ad una categoria. Lo voglio sperare. Sta di fatto che in nessun altro modo possono essere definiti quei carabinieri che hanno fermato e portato in caserma, accusandoli di atti osceni in luogo pubblico, i due ragazzi che si baciavano la scorsa notte. Nella mia mente si delinea il profilo di queste persone. Persone non brillanti di cultura medio bassa, sposati o fidanzati, eventualmente con figli. A messa la domenica, a sentire (ascoltare sarebbe pretendere troppo) le omelie del “don” di turno che ripete a mo’ di filastrocca che i credenti devono farsi promotori dei valori morali (quelli che vi diciamo noi perchè voi non siete in grado di crearvene di vostri) nella società.

Una volta, alla scuola elementare, quando il maestro doveva insegnare una poesia, la ripeteva, la ripeteva e la ripeteva ancora, finchè quelle parole non restavano fisse nella mente degli scolaretti.

Vi è mai capitato di ascoltare ripetutamente una canzone e di rendervi conto, a distanza di qualche ora, che il motivetto vi è rimasto nella testa tanto da continuare a canticchiarlo? A me si. Questa è la metodologia didattica utilizzata dalla chiesa per portare avanti il suo processo di indottrinamento. Con lo scopo di creare un coro. Di far cantare a tutti lo stesso motivetto.

E sicuramente è quello che è successo a questi mentecatti, che sentendo di doversi ergere a paladini della morale appresa in tante domeniche di rito lobotomizzante, hanno ben pensato di cominciare a canticchiare, per mostrare a se stessi di aver appreso bene il motivetto. Perchè lo hanno imparato? No-no. Di sicuro questa domanda non se la sono posta!

Don? domenica dal pulpito, quando lo farai, ricordati che starai condannando ciò che il tuo Cristo avrebbe approvato. Un bacio, espressione dell’Amore.

Non posso che sperare che arrivino segnali forti da parte delle istituzioni, che condannino questo spiacevole fatto che fa fare all’Italia un balzo all’indietro in termini di civiltà. Per quel che mi riguarda, esprimo qui il mio dissenso e la mia condanna!

Per approfondimenti sulla notizia: la Repubblica.it

Pubblicato da: Rocco | 24 luglio 2007

Credo mi voglia (terza parte)

Continua da Credo mi voglia (prima parte)  
Continua da Credo mi voglia (seconda parte)

Stefania continuava ad agitare il suo grande culo davanti al mio pisello nel tentativo di farlo entrare. Ma non riuscuva ad andare oltre l’uscio. Non scivolava. Sentivo il suo buco completamente asciutto. Era come se si rifiutasse di entrare in quel orifizio. Stefania chiese a Francesco se avesse qualcosa da poter usare come lubrificante. Io di mio avrei anche potuto bagnarla con della saliva, ma l’idea di toccare quelle natiche ciccione in corrispondenza del buco mi faceva schifo. A dire il vero mi avrebbe fatto schifo anche se fosse stato il culo di un uomo se ci fosse stato tutto quel grasso intorno. Poi stavo terribilmente scomodo in quella posizione e Francesco con la sua guida a scatti non agevolava di certo le operazioni di ingresso. Così, proprio quando sembrava che stesse cominciamdo ad entrare subito veniva via. “Si, credo di avere della crema per le mani”. Francesco cominciò a rovistare nei cassetti della macchina mentre io, al suo fianco, persistevo in quel vano (e soprattutto per me inspiegabile) tentativo di penetrazione. Anche se sul momento mi sembrava la cosa più normale di questo mondo. Stefania ormai era completamente distesa sulla plancia e non riuscivo a capacitarmi di come riuscissimo a contorcerci a tal punto nel ristretto spazio del sedile passeggero. Un colpo improvviso. La testa di Stefania urta contro il cristallo. “Merda! Fra’. Che cazzo hai fatto!”. Non so perchè, ma mi sentì sollevato perchè questo intoppo mi costringeva ad interrompere il giochino con Stefania. Non che non fosse duro. Ma prorpio non ci teneva ad entrare. Scendemmo dalla macchina, Stefania abbassandosi il gonnone gitano, che nel frattempo le era salito fino alle ascelle ed io alzandomi i pantaloni (avevo il cazzo ancora duro che mi premeva contro la cerniera dei pantaloni). Francesco sembrava disinteressato allo scontro contro appena avuto, con quell’auto parcheggiata. Infatti non scese subito dalla macchina. Finchè un omone, presumo fosse il proprietario dell’auto offesa, si avvicinò sgambettante all’auto per constatare l’entità del danno. Fui preso da un brivido. Temevo che l’omone potesse aver assistito a tutta la scena, e quindi realizzato quello che si stava consumando nel nostro abitacolo. A quel punto anche Francesco reagì di scatto e balzò fuori dalla macchina sbattendo fortissimo lo sportello lato guidatore.

La luce che arrivava dalla finestra del soggiorno urtava contro i miei occhi e il bracciolo del divano stava premendo troppo forte contro la nuca. Mi sentivo completamente stordito con una intera enciclopedia che mi sbatteva cotro la testa. Un forte senso di nausea mi impediva qualsiasi movimento. Nella testa mi frullava ancora la scena di Stefania avanti al mio cazzo. Mi sentì liberato al pensiero che fosse stato un sogno. Che nausea. Che orrore! E quel culone! Che brividi! Improvvisamente però realizzai il motivo per cui mi ero addormentato sul divano e cominciarono a delinearsi i contorni della sera precedente. Bastardo. Stetti ancora un’ora sul divano, provando di tanto in tanto a mettermi in piedi. Almeno per riuscire ad arrivare in cucina a prendere qualcosa per contrastare quel maledetto martello pneumatico che lavorava insistentemente sul mio cranio. Ma riuscì appena ad accennare qualche vano tentativo. Appena ci provavo, la nausea e il dolore alla testa mi bloccavano. Quel bastardo mi aveva drogato!

Appena ripresi il controllo delle mie facoltà fisiche e mentali (dovrebbero mettere in calendario Sant’Aulin), cominciai a meditare sul da farsi. Certo, le cose non erano andate esattamente come mi aspettavo. Ma sicuramente Francesco avrebbe capito che non volevo fare sesso con lui. E che se lo avevo fatto era solo perchè Luca mi aveva drogato. A proposito di Francesco. Che ci faceva nel mio sogno mentre provavo ad inchiappettarmi Stefania? Forse non era il momento di analizzare questa proiezione della mia mente. Il problema principale, ora, era come mettere a parte il poverino che il suo ragazzo ci aveva provato (e ci era anche riuscito) con me. Ecco! Già lo tratto con commiserazione. Devo trovare il modo. Il modo. Il modo.  Approccio top-down. Glielo dico. E per avvalorare la mia tesi gli mostro la registrazione. Oppure il contrario? La storia per immagini: come si fa con i bambini? No, decisamente la prima. Magari ci resta secco. Oppure, non capisce il perchè gli faccia vedere un video di me e Luca che trombiamo, e fa secco me. Va bene. Gli parlo.

Il cellulare. Francesco. Potevo cogliere la palla al balzo e dirgli che avevo bisogno di parlargli. Mi sentivo raggelato e non avevo il coraggio di introdurre il discorso. Per fortuna mi anticipò lui. “Si, mi sono svegliato da poco” – “Come se la mia fosse nouvelle cuisine! Certo che va bene se scongeli qualcosa” – “Dammi il tempo di vestirmi, mi metto in macchina e vengo da te”. Presi le cassette con le registrazioni e le misi nello zainetto. Chissà se sono fotogenico mentre mi fottono. Anzi, speravo vivamente di non dover essere costretto a mostrare quello spettacolo. Sarebbe stato penoso per lui. Sentivo che sulle mie spalle gravava un fardello molto pesante. Mi portavo addosso il tradimento. In macchina continuai a rimuginare per trovare le parole giuste. Ma mi rendevo conto che nessuna parola sarebbe stata giusta e che ogni parola che avrei detto sarebbe stata un coltello conficcato nella sua schiena.

Il bambino cominciò a piangere dallo zainetto. Ancora Francesco. Mi divertivano quelle suonerie balzane per i cellulari. E da quando Aldo mi aveva insegnato come scaricarle avevo accumulato un parco squilli non indifferente. Questa non ci voleva. Anche Stefania sarebbe stata con noi a pranzo. Era rimasta senza auto e dovevo passare a prenderla. Subito si riaffacciò l’immagine, di lei curva con i gomiti sul cruscotto, che avevo cercato di rimuovere al mattino, assieme al senso di nausea. Caricai il suo culone sulla mia auto e per tutta la strada cercai di non mostrare l’imbarazzo che provavo per quello che era successo la notte prima. Ormai saltava tutto e l’agonia che mi portavo dentro si sarebbe prolungata ancora di parecchie ore (prima di riuscire a liberarci di Stefania).

Arrivammo da Francesco. Lui è mediamente ordinato. Pulito ma normalmente non raccatta le cose che lascia in giro per casa. Però c’era un particolare disordine. Vidi delle borse da viaggio. “Sei in partenza?” – “Come sarebbe che siete tornati questa mattina?” – “No, non ricordavo che tu e Luca sareste stati in vacanza in Spagna questa settimana…”. Mi sentì il mondo crollare sotto i piedi. Ieri sera. Luca. Le registrazioni. “Scusami, non mi sento molto bene. Vado a casa. Non ti spiace riaccompagnare tu Stefania, vero?”. Fuggì di lì. Mi sembrava di essere in un incubo, come quello in cui mi ero trovato poche ore prima. Tutto mi sembrava così irreale. Avevo le registrazioni. Una spiegazione ci doveva essere sicuramente. Dovevo vederle assolutamente. Subito!

Il cuore mi usciva dalla gola mentre pigiavo il tasto play per avviare la riproduzione.
Un film che avevo registrato in TV. Il sesto senso.
Avanzamento veloce… Sempre lo stesso film.
Le telecamere nascoste. Non avranno funzionato. Magari Aldo non aveva cassette vuote e ha preso una delle mie.
La prova. Le telecamere. 
Tutto giù per cercarle.
Niente!
Aldo sarà venuto a riprendersele.
Il telefono.
“Ciao Aldo” – “Si hai ragione… sono uno stronzo… non mi faccio sentire mai”.

E’ ancora Luca Volontè ed Operazione Pretofilia ad accendermi. Dopo la richiesta di oscuramento del mirror statunitense dal quale era possibile scaricare il simpatico giochino e dopo che il mirror è stato riattivato perchè, come affermato dal provider, non viola alcuna legge degli USA è nata una simpatica iniziativa volta a ripagare con la stessa moneta il parlamentare Udc.

Chi di internet ferisce di internet perisce.

E’ un’azione mediatica, “Liberté, Egalité, Volonté :: The Blasfemous Art Riot” promossa da Les Liens Invisibles in collaborazione con ImageGuerrilla Group, che mira ad oscurare la visibilità del sito del parlamentare Volontè. Come? Plagiando il sito del parlamentare.
Un sito graficamente uguale a quello di Volontè, (http://www.lucavolonte.eu), nel quale (simpatico sbeffeggiamento) è stato pubblicato il gioco Operazione Pretofilia (versione inglese). L’oscuramento avverrà a colpi di link. Quanto più il suo sito fasullo verrà linkato, tanto più la sua popolarità (ranking) aumenterà. Di conseguenza, aumentando la popolarità, sarà posizionato in cima alla lista dei risultati generati dai motori di ricerca. Fino a far in modo che il sito clone, preceda nei risultati di ricerca il sito originale del parlamentare, oscurandolo di fatto. Per partecipare attivamente, ed oscurare Volontè, basta linkare sui siti e in tutta la blogosfera l’indirizzo http://www.lucavolonte.eu oppure http://www.lucavolonte.eu/pedopriest.html.

Staremo a vedere gli esiti di questo esperimento ludico e sociale contro qualsiasi forma di censura. Bravi i promotori!

Link:
http://www.lucavolonte.eu
http://www.lucavolonte.eu/pedopriest.html

Giochiamo a guardie e ladri
Giochiamo a guardie e ladri: “Provocatorio e offensivo”? No, tragicamente reale!
Censura del governo sul videogioco “Operazione pretofilia”

E’ arrivata la censura di stato. Ovviamente non mi riferisco al nostro “laico” Stato Italiano ma allo Stato Vaticano che muove le fila del governo italiano.

Delusione, amarezza e rabbia. Questo quello che provo. Intelligentemente gli autori del videogioco, che nella vita non si occupano solo di fare satira su uomini deviati all’interno della chiesa, per evitarsi grane ulteriori hanno auto-censurato il loro gioco (che per fortuna rimane disponibile per il download su innumerevoli siti come questo e sulle reti di P2P).

Gioco Operazione PretofiliaMotivazione? La nuova legge in materia di pedo-pornografia secondo la quale (giustamente) sono da censurare immagini di atti sessuali che coinvolgono bambini, anche se queste sono rappresentazioni virtuali che ricostruiscono immagini reali. Beh! Date un’occhiata all’immagine (tratta da una schermata del gioco) e valutate voi stessi se immagini come questa possono ritenersi una ricostruzione virtuale del vero. Pochi pixel e disegni stilizzati.

Il tentativo di oscurare questo gioco che, seppur in modo satirico, condanna questi atti,  mira esclusivamente a rimuovere un contenuto politicamente scomodo per i burattinai dei nostri cattopolitici. Ed io sono cattostanco!

Links:

Giochiamo a guardie e ladri
Giochiamo a guardie e ladri: “Provocatorio e offensivo”? No, tragicamente reale!
L’interpellanza urgente di Luca Volontè
Link al resoconto della seduta
Legge 38/2006 “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”

Ringraziamo il cielo! Abbiamo in Italia degli attivi difensori della morale pubblica, paladini della cristianità e salvatori della patria dalla perversione dilagante.

Grazie messere, Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, per la sua crociata di moralizzazione!

Stiamo parlando del simpatico videogame “Operazione Pretofilia”, che vi segnalai alcuni giorni fa. Questo “onorevole”, lo ha definito “Provocatorio e offensivo: l’ennesimo attacco alle istituzioni religiose e alla fede cristiana. Il Governo provveda con urgenza a oscurare il sito che consente di scaricare ‘Operazione pretofilia’, ‘gioco-flash’ scaricabile da Internet che riproduce la simulazione di stupri su bambini, da parte di preti, non ostacolati da genitori intimiditi e omertosi”. Il testo completo del comunicato qui.

Questo signore non sa nemmeno quello che dice! Se a seguito del verificarsi di situazioni REALI, come quella rappresentata nel gioco, la chiesa per prima si giustifica dicendo che “la chiesa è fatta dagli uomini“, non vedo nessun motivo per cui la fede cristiana debba sentirsi attaccata se alcuni uomini della sua istituzione sbagliano, e su questi sbagli qualcuno fa ironia e satira.

Concordo pienamente con gli ideatori del provocatorio gioco che hanno diramato un comunicato di risposta: “… Ma se quei bambini virtuali, alti appena una manciata di pixel, fossero stati seviziati e divorati da perfidi alieni, l’onorevole Volontè si sarebbe scomodato in loro difesa? Non sarà forse il riferimento tragicamente reale, più che la qualità della rappresentazione, a dar tanto fastidio ai cattolici?…”  (aggiungerei “bigotti”). Se volete potete leggervi la nota di risposta qui.

La pedofilia è qualcosa di grave. La pedofilia ad opera di preti è peggiore. Vogliamo fare un paragone? Uccidere un bambino è una cosa grave. Se ad uccidere il bambino è sua madre è molto più grave!

L’esistenza dei pedofili è risaputa e che va combattuta, in generale. Il documentario sui preti pedofili (quello mostrato anche da Santoro sulla rai) a cui si ispira il gioco ha fatto tanto discutere. La chiesa si difende dicendo di non focalizzare l’attenzione sui preti ma sulla pedofilia in generale. Ma secondo me è giusto puntare il dito contro questa più grave situazione. Le mamme mandano i loro bambini in parrocchia credendolo un luogo in cui saranni al sicuro. Ma, evidentemente, alcune volte non è così. Questo gioco mette in mostra, seppur cruda, la realtà. Che non possiamo far finta che non esista. Ho cercato sul sito delle iene (senza trovarlo) un servizio di alcuni anni fa in cui una Iena fingendosi la mamma di un bambino abusato dal suo prete, si rivolgeva, per avere consiglio, ad altri preti (munita di telecamera nascosta). Tutti le consigliavano di non raccontare nulla a nessuno (tantomeno al marito o alla polizia), di non alzare inutili polveroni e di dimenticare l’accaduto.

VERGOGNA! Queste sono le cose che devono offendere la morale cristiana e non un videogame satirico!

Ben vengano,  giochi come questo. Che servono a far parlare di un problema (invece di cercare di occultarlo). Anzi lo ritengo addirittura educativo, perchè insegna ai bambini che sotto un abito nero non sempre si nasconde un amico. E agli adulti, ai genitori, ad essere più attenti ai messaggi lanciati dai loro bambini e a non farsi intimorire in situazioni come queste.

Pubblicato da: Rocco | 27 giugno 2007

Credo mi voglia (seconda parte)

Continua da Credo mi voglia (prima parte) 

Sapevo che non avrei aspettato troppo prima che si rifacesse vivo. Ormai Luca era lanciatissimo nel telefonarmi e stava diventando un’abitudine ricevere tutte quelle chiamate. Comprese quelle mute nel cuore della notte.
Così fu. Solo che Luca non sapeva che così facendo stava abboccando all’amo.

“Non bene. Penso di avere qualche linea di febbre” – “No, davvero. Non ho bisogno di niente” – “Si, penso proprio che per oggi resterò a casa.” – “Non dirlo a me! La febbre con questo caldo proprio non ci voleva” – “Mi sono già tolto tutto di dosso. Con la febbre, il caldo mi sta dando alla testa.” – “Si, mi metto a letto e provo a dormire. Con una sudata dovrebbe passarmi” – “Ok, ci sentiamo”.

Mi faceva repulsione fare quella commedia, ma non potevo più tirarmi indietro.
Mi ero sembrato abbastanza languido nel tono di voce. E anche abbastanza allusivo. Nudo e sudato, metre giaccio sul letto e non in pieno possesso delle mie facoltà mentali. Beh! Ero quasi certo che… si sarebbe preocupato di come stessi e che sarebbe venuto a portarmi generi di conforto. Me lo immaginavo già, sulla porta, con lo sguardo da crocerossina e in mano un termometro. “Tieni, spero che ti possa servire in futuro visto che stai per essere colto dalla febbre gialla”. No, forse no. Avrebbe portato qualcosa di tipico. Come le arance ad un carcerato. Oppure si sarebbe orientato verso un qualcosa di personalizzato per mostrare che conosceva i miei gusti. Solo che questo significava che mi aveva osservato e studiato attentamente e l’idea di essere stato sotto il suo mirino mi provocò una sensazione di fastidio. Io ero un pesce nell’acquario e lui, fermo, davanti al vetro mi fissava? Comunque fosse, adesso i ruoli si stavano invertendo e il mio carnefice stava diventando mia vittima ignara. E avrebbe recitato per me la parte da protagonista che gli avevo assegnato.

Attivai microfoni e telecamere seguendo con diligente precisione le istruzioni che mi aveva dato Aldo. Poi aprì la porta.
Decisamente atipico come presente, considerato il mio stato di salute. Due bottiglie di vino. “Ma si che mi fa piacere – dissi recitando la mia parte – che tu sia passato a trovarmi” – “E poi eri anche di strada”. Mi accesi una sigaretta per dissimulare l’agitazione che mi stava assalendo. Mi sentì impreparato ad affrontarla. Come quando a scuola, sentendo chiamare il mio numero per l’interrogazione, mi maledicevo per non essere rimasto a casa a studiare il giorno prima. Decisi di adottare la stessa tecnica di allora. Mi mettevo in piedi con uno scatto deciso, e, come se non aspettassi altro, mi dirigevo verso la cattedra con passi dalla falcata ampia, per sottolineare il mio sentirmi pronto. Sperando in cuor mio che mi sarei ricordato qualcosa della spiegazione o che sarei riuscito a condurre le risposte alle domande su argomenti per i quali ero preparato. Insomma, facevo di tutto per non fare scena muta. Ed era quello che avrei fatto anche ora. Se non avessi ricordato qualche battuta del copione che avevo sceneggiato durante i giorni precedenti, avrei improvvisato.
La consapevolezza che in un modo o nell’altro sarei riuscito a fare andare avanti lo spettacolo mi diede coraggio. Spensi la sigaretta e presi a recitare.

“Si, lo so che non dovrei bere alcolici perchè ho assunto farmaci”. In realtà non ne avevo presi. “Dai, così brindiamo insieme”. Decisamente mi aveva osservato. Era il mio vino preferito. “E cosa festeggiamo? Le corna di Francesco?”. Tenni a freno la mia vena sarcastica e depennai dal copione quella battuta.
Fose gli diedi l’impressione di agevolarlo nel suo intento. Vedevo lucidamente, ormai, il copione proposto da Luca per quella serata. Qualche bicchiere di vino, freni inibitori allentati, lui che si avvicina sempre più, una pacca sulla spalla, un abbraccio fraterno, la mano sulla gamba, i visi a distanza ravvicinata e apparentemente nessun motivo per non baciarsi. In fondo aveva buone ragioni per pensare che la scena sarebbe andata così. E’ un copione abbastanza recitato nei teatri dell’omosessualità.
Ma aveva trascurato un dettaglio. Non avrei bevuto quel vino. Il mio ficus si sarebbe sacrificato per me. Ormai mi sentivo una lucida macchina da guerra. Ed io combatevo la mia personale guerra in difesa della felicità e della dignità di Francesco.

Come era possibile? Avevo bevuto solo il primo bicchiere. Gli altri ero riuscito a svuotarli: due nel lavandino della cucina, altri due nel water e gli altri nel vaso. Il tutto senza che Luca se ne accorgesse. Eppure la testa stava diventando via via più leggera. Gli occhi pesanti, come se qualcuno stesse facendo pressione con i pugni. E sentivo i riflessi rallentare. Un crescendo che prevedevo non mi avrebbe lasciato scampo. Era arrivata la domanda alla quale non sapevo rispondere. Cominciavo a balbettare cercando di arrancare una risposta. Ma non sapevo assolutamente cosa mi era stato chiesto, nè avrei saputo cosa rispondere. Nemmeno arrampicandomi sugli specchi. Stavo per essere mandato al posto accompagnato da un bel quattro e un invito a studiare di più.

Cercando di vincere lo stato di torpore in cui stava cadendo il mio cervello, cercai di ripercorrere con la mente gli istanti precedenti. Aveva insistito perchè fosse lui a stappare la bottiglia e a mescere il vino nei calici. Poi quel retrogusto. Non avevo dato peso. Capita qualche volta che il sughero del tappo si deteriori. Stupido! questo figlio di puttana me l’ha fatta! Ha messo qualcosa nel mio bicchiere!
Mentre la consapevolezza di quello che era successo era stata raggiunta, la perdevo per quel che stava per accadere. Sentivo di non avere più il controllo. La mia capacità volitiva non riusciva più a trovare attuazione. Non comandavo più il mio corpo pur mantenendo uno stato mentale vigile. Qualsiasi cosa fosse, quella maledetta sostanza mi aveva soggiogato.

Il resto, sebbene lo ricordi come un film dai fotogrammi sbiaditi e consumati dal tempo, andò esattamente come lui si era aspettato. Luca mi ebbe. Con foga animalesca. Per assurdo, quello che ricordo chiaramente è il suo sorrriso trionfante quando fu fuori di me. Il sorriso della belva che, catturata la preda, la trascina con elegante fierezza fino alla tana, ricevendo gli onori degli altri componenti del branco.
Mi lasciò in stato di semicoscienza. Si rivestì e se ne andò. Io rimasi lì, steso. Lì, dove mi aveva avuto. Lì, dove gli occhi freddi e indiscreti delle telecamere avevano spiato tutto e le orecchie sfacciate dei microfoni avevano sentito ogni più intimo gemito di quella serata.

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Pubblicato da: Rocco | 26 giugno 2007

Credo mi voglia

Pensai che la cosa migliore che potessi fare era cercare di incastrarlo. Avrei chiesto aiuto ad Aldo. Lui sicuramente avrebbe saputo prepararmi tutta la strumentazione necessaria. Ora però dovevo essere lucido. Dovevo ragionare sul da farsi. E soprattutto su come farlo. Accidenti! Quanto possono essere diverse da quello che sembrano le cose!

Non ne avevo la certezza. Ma ormai ero quasi certo che volesse provarci con me: questo pensiero non mi abbandonava. Non mi imressionava che potesse fare una storia del genere… ma con me, no. Non me l’aspettavo. In fondo sono il migliore amico del suo compagno. Sentivo un formicolio prenermi le gambe e le forze venirmi meno. E l’idea di quello che stavo per fare non mi faceva certo stare meglio.

Che ne avrei fatto delle “prove”? Mi consumava immaginarmi di dirgli la verità su Luca e di vedere impotente il suo viso spegnersi. E sapere che il tasto “off” lo stavo pigiando io mi faceva male da pazzi. Non che potesse fare molta differenza, ma mi chiedevo quale fosse il modo migliore per premere quel maledetto tasto. Avrei invitato Franesco a bere un caffè. “Si hai ragione, questi giorni fa proprio caldo. Sarà per questo che Luca si è spogliato prima di provare a succhiarmelo”. No questa è da scartare. Magari la posso buttare sull’ironico-cinematografico… “Hai visto l’ultimo film di Luca? A novanta gradi con Rocco”. Si, ottima idea. Mi darebbero la medaglia “uomo dell’anno che si è distinto per il tatto”. Beh! un modo lo avrei trovato per dirglielo.

Dentro me nutrivo la speranza di aver frainteso tutto e che non era affatto quello che sembrava. Ma era tutto così palese e la scure si abbatteva sempre più profonda sulla testa di Luca. I nostri rapporti non erano mai stati intimi più di tanto. Ci si vedeva, si usciva a cena, cinema, teatro. Ma lui era una propaggine di Francesco. Luca c’era perchè c’era Francesco. A cena, al cinema, al teatro. E per me aveva sempre avuto una consistenza appena palpabile. Francesco era felice del suo rapporto e io di riflesso lo ero per lui. Il mio caro Francesco. Come avrei potuto negargli quel piacere? “Luca sta facendo il concorso… e sai – non senza vergogna – so che conosci il presidente… lui sta studiando… “. Non aggiunse altro. Non era necessario. Tra noi le parole non servivano. Mio caro Francesco, quanto ti sarà costato. A tuo vantaggio personale non l’avresti mai fatto. Il nostro codice d’onore. Queste cose non ci piacciono. Quante volte ne abbiamo parlato. Devi amarlo davvero molto quel ragazzo. Ed ora mi trovo intrappolato in questa situazione surreale. E non so se continuare ad esasperarla fino a indurre Luca a scoprire le sue carte o se non sarebbe meglio annullare la partita e defilarmi senza dargli possibilità di continuare questo assurdo gioco al massacro che, sebbene lui non lo sappia, ora conduco io.

Ho deciso. Lo chiamo. “Si, vorrei parlare con Aldo” – “No, mia moglie non sta affatto bene” – “No, non è malata! non sono sposato”. Perchè questa deve sentirsi la signora in giallo solo perchè fa la segretaria ad un investigatore privato? Evidentemente se Aldo l’ha presa avrà altre doti… ma dubito che sia per il suo acume. “Si, certo, ho capito, deformazione professionale” – (ah! non deficienza innata?) – “Si, grazie”.

“Aldo, ho bisogno di te” – “Si, ok. Al solito posto alle 12”. Mancava un’ora e mezza. Sarei andato sul mare. Lì i miei pensieri si schiariscono. Sarà il vento di tramontana che mi fa quell’effetto. E oggi per fortuna c’è tramontana. Lascerò che mi penetri nella carne, e che fluendo attraverso il corpo mi arrivi fino al cervello.

Mi ostinavo a cercare di capire e ricordare se avessi sbagliato io in qualcosa. Se, piuttosto, non avessi dato io adito a fraintendimenti. Anche involontari. Passai allo scanner tutti quei giorni. E anche quelli precedenti. Ma non ne venivo a capo.
Non avevo il numero di telefono di Luca. Anzi credo che non lo avrei voluto perchè pensavo che non avremmo avuto nulla da dirci. Effettivamente non avevamo niente in comune io e lui. Tranne Francesco. E nemmeno Francesco pensavo avesse nulla in comune con Luca. Ma per pudore non avevo mai avuto il coraggio di confidarglielo. Mi sembrava così preso all’inizio. Poi se ne è innamorato. E a quel punto non aveva più senso dirgli nulla. 
Avevo bisogno del codice meccanografico col quale era stato identificato al concorso. Per poter segnalare al mio amico presidente che la persona tal dei tali è particolarmente meritevole e che sarebbe un peccato per l’amministrazione privarsi della sua competenza. Odiavo fare tutto ciò! E negli ambienti si sapeva che non sono il tipo che concede grazie…
Francesco. Glielo dovevo. In tanti momenti era stato per me più di un padre. Più di un fratello. Più di un amico. Condividevamo gli stessi ideali. Sarà per quello che dopo l’accenno alla richiesta di raccomandazione, non volle più parlarmene direttamente.
Fu Luca a chiamarmi per comunicarmi il codice. “Si, quello di dodici cifre riportato sulla ricevuta di consegna della domanda di ammissione” – “Certo, sono libero in pausa pranzo così hai tutto il tempo per passare da casa a prenderlo” – “No, non mi secca, figurati!” – “Si, giusto un’insalata, per mantenerci leggeri”. 

Quella di una camicia sudata, che ti si è appiccicata addosso. Questa fu la sensazione che provai quando uno di fronte all’altro, divisi dalle nostre insalate, ebbi la percezione che il suo sguardo fosse diverso dal solito. Che mi guardasse. Che osservasse ogni singolo gesto che facevo.
Estrapolato dal contesto in cui ero abituato a vederlo, senza Francesco, mi sembrò meno cagnolino di quello che avevo creduto. E si destreggiava abilmente elargendo sorrisi e facendo battute simpatiche. Pensai che lo avevo sottovalutato. Che forse, se Francesco lo amava… Beh! celava bene le sue doti interiori. Ma finchè non terminammo le nostre insalate, quella sgradevole sensazione, non mi abbandonò. E Luca quel giorno mi sembrò più lento del solito a mangiare.

Quando ci congedammo, mi venne spontaneo scuotere il capo, come a voler far uscire dalla mia testa quella che mi era sembrata un’idea assurda. E come sale, dalla saliera scossa a testa in giù, quel pensiero cadde e rimase lì, su quel tavolo dal quale ci eravamo appena alzati. Così pensai. Ma mi sbagliavo.

Le telefonate si fecero più frequenti e sempre più lunghe. Lo incontravo, per caso, dappertutto. Apprezzamenti, risolini, doppi sensi, allusioni esplicite, abbracci. Stavo per perdere il controllo della situazione. Dovevo porre rimedio.

Aldo arrivò con quasi quaranta minuti di ritardo. Io ero già al mio sesto Martini e gli effetti benefici della tramontana erano stati abbondantemente annullati e sostituiti dalla percezione ovattata delle cose che dà l’alcool. “Si, non deve accorgersi di nulla” – “Lo so che è una bastardata ma preferisco che soffra piuttosto che saperlo con uno che lo sta prendendo in giro” – “Si, non ho il diritto” – “Lo so che questo lo distruggerà e che ne hai viste tante di situazioni analoghe” – “Dai non farmi la predica e pensa a sistemare microfoni e telecamere a casa mia” – “Lo so. Lo so che me ne pentirò”

 

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